Tornano alla luce sulle cime dello Stelvio chilometri di trincee, fossati e gallerie risalenti alla prima guerra mondiale. A Bormio un museo dedicato ai combattimenti ad alta quota nel complesso alpino dell'Ortles-Cevedale
Mesi gelidi trascorsi a sorvegliare cime inarrivabili. E a scrutarsi con un nemico appostato dietro a identici spuntoni di roccia, dall'altra parte della valle. La temperatura poteva precipitare anche a 30 gradi sotto lo zero, eppure soldati italiani e austriaci non abbandonavano le loro posizioni nemmeno nelle notti di freddo polare, quando il giaccio li assediava, costringendoli in ripari scavati nella montagna. La Grande Guerra è stata anche questo, il confronto impari tra gli uomini e le condizioni più estreme imposte dalla natura. Lungo l'arco alpino, nei settori operativi dei gruppi dell'Ortles-Cevedale e dell'Adamello-Presanella, ha preso il nome di Guerra Bianca, perché venne combattuta a una quota media superiore ai 3.000 metri, tra nevi che allora erano perenni. La custodia del ghiaccioIl riscaldamento globale e il progressivo scioglimento dei ghiacciai hanno liberato dalla morsa del ghiaccio molti di quei rifugi, svelando nidi d'aquila con i loro cannoni, chilometri di trincee scavate nella roccia e strade che si inerpicano, con punti di appostamento trovati fino alla quota massima di 3.905 metri sul livello del mare. Nell'alta Valtellina, sulle vette del Parco Nazionale dello Stelvio, i resti dei combattimenti ad alta quota sono oggi in gran parte visibili: «Sulla cima dello Scorluzzo ad esempio — spiega Stefano Morosini, docente all'università di Bergamo e consulente storico del Parco — abbiamo trovato diverse caverne usate come ricovero dai soldati austro-ungarici, ad oltre 3.000 metri. Da qui si poteva presidiare il passo dello Stelvio, la val Venosta, la valle dei Vitelli e la valle del Braulio. Era un luogo strategico, e pertanto è tutto assolutamente trincerato, con numerose gallerie e caverne che venivano rivestite di legno e utilizzate dai militari per difendersi dal gelo e dai colpi dell'artiglieria italiana». Una di queste capanne di legno è stata estratta dal suo ricovero nella roccia posto nei pressi della cima del Monte Scorluzzo a 3.094 metri, e sarà presto ricostruita all'interno di un nuovo museo che vedrà la luce nei prossimi mesi, a Bormio. La Regione Lombardia, attraverso un accordo di programma, ha stanziato per il progetto 3,2 milioni di euro. Le cimeGran parte di questi resti erano fino a qualche anno fa irraggiungibili. Blindati nel ghiaccio, sono stati restituiti alla luce solo di recente, a causa dell'innalzamento delle temperature che comporta una pesante riduzione dell'aree ghiacciate ad alta quota. «Il ghiacciaio dei Forni — spiega Guglielmina Diolaiuti, docente di Geologia all'Università di Milano — si è accorciato di oltre due chilometri, al suo posto scorre un torrente che viene alimentato dalle... ( Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: https://video.corriere.it/cronaca/nel...